The Kierkegaardian concept of irony

Authors

  • María J. Binetti

DOI:

https://doi.org/10.17421/1121_2179_2003_12_02_Binetti

Abstract

 L’articolo cerca di scoprire il concetto kierkegaardiano di ironia, alla luce di ciò che sembra la sua radice e il suo senso fondamentale, ovvero la libertà individuale quale potere reale e costitutivo dell’io. Per Kierkegaard l’ironia è la prima determinazione della soggettività libera, la cui riflessione comincia ad interrogarsi sulla densità metafisica del mondo finito. Mentre, in una prima fase del suo pensiero, il filosofo danese considerò questa forma iniziale dello spirito come uno stato interiore astratto e puramente possibile, in seguito la ritenne come uno stato reale e concretamente spirituale. In altre parole, Kierkegaard non considererà più la posizione ironica come la traduzione esplicita di una interiorità vuota ed estranea all’universo, ma cominciò ad interpretarla come l’opposto della realtà etica dell’io. Questo sviluppo obbedirebbe all’approfondimento della nozione di libertà, che in un primo momento significò la possibilità infinita e indeterminata dell’io, ma poi fu specificata come possibilità di potere e, infine, come potenza reale. Perciò la personalità ironica non coincide esattamente con quella estetico-romantica, ma piuttosto con il soggetto morale, fermamente unito al bene e alla verità assoluti, sotto l’impulso del suo potere libero. A causa di ciò, l’ironia di Kierkegaard diventa propriamente humor, cosciente della negatività assoluta dell’uomo. L’humor spinge la soggettività verso il limite paradossale della fede, dove l’io crede nella possibilità dell’impossibile, cioè crede nella realizzazione della propria libertà non da se stesso, ma per mezzo di Colui per il quale nulla è impossibile.

Published

30-09-2003

How to Cite

Binetti, María J. “The Kierkegaardian Concept of Irony”. Acta Philosophica 12, no. 2 (September 30, 2003): 197–218. Accessed December 21, 2024. https://www.actaphilosophica.it/article/view/4090.

Issue

Section

Studies